UGO CAIMPENTA
IL FORNARETTO
di VENEZIA
EDITRICE LUCCHI – MILANO
1972
COPERTINA
FLESSIBILE ILLUSTRATA A COLORI, RILEGATURA BROSSURATA, PAGINE 217, FORMATO CM.
13X19.
Stato di conservazione:
OTTIMO come mostrano le foto
NALATO, Giuseppe Ugo
(Gian Dàuli). – Nacque a Vicenza il 9 dicembre 1884 da Giuseppe e da Elvira Del
Fratello, nel villino dei nonni paterni, in Coltura Camisano 79, nei pressi
della dimora quattrocentesca della Ca’ Impenta.
L’edificio vicentino gli suggerì uno dei suoi
pseudonimi, Ugo Caimpenta. Quello più noto, Gian Dàuli, gli fu ispirato
dall’ipotetica parentela con la famiglia padovana Dotto de’ Dàuli. Il padre,
insegnante di scienze naturali, fu favorevole all’istruzione popolare e all’azionariato
operaio. Lo zio materno, il banchiere Pietro Del Fratello, si suicidò nel 1907
a causa di errate speculazioni finanziarie.
Si
spegne a Milano il 29 dicembre 1945; “Morì senza un lamento, con la semplicità
di ogni anima buona; a Milano, in Via Fiori Chiari, ove a lungo era vissuto, a
pochi passi dalla casa editrice Lucchi, alla quale da decenni aveva consacrato
la sua prodigiosa attività di scrittore, traduttore e organizzatore”.
Il fornaretto di Venezia anche noto come La leggenda del
povero fornaretto è un racconto popolare veneziano ambientato nel 1507,
sotto il dominio del doge Leonardo
Loredan.
A Venezia vive un giovane garzone di fornaio di nome
Pietro Tasca. Egli è innamorato di una giovane, Amelia, che fa da cameriera
presso la famiglia patrizia di Lorenzo Barbo, membro del Consiglio dei Dieci.
Una mattina di buon'ora, mentre fa il suo giro per
calli e campielli per la consegna del pane, Pietro si imbatte nel cadavere del
nobiluomo Alvise Guoro, che egli conosce e verso il quale nutre una certa
antipatia, sia perché aveva in precedenza attentato all'onore di sua sorella, sia
perché ha il sospetto che stavolta avesse messo gli occhi addosso alla sua
amorosa. In effetti il vizioso Alvise Guoro era l'amante della moglie del
Barbo, Clemenza.
Mentre il fornaretto è titubante accanto a quell'uomo
ucciso, sopraggiungono gli sbirri che lo arrestano e lo rinchiudono nel
famigerato carcere dei Piombi. Amelia, la fidanzata del fornaretto che ancora
non sa del suo arresto, durante l'interrogatorio mente per proteggere la sua
padrona, affermando che l'Alvise veniva da lei nelle sue visite notturne, ed
inconsapevolmente fornisce agli inquisitori il "movente" del delitto.
La confessione sotto tortura addossa definitivamente
il delitto al giovane Pietro che viene condotto al patibolo. Quando il patrizio
Lorenzo Barbo confessa pubblicamente di essere stato lui l'autore del delitto,
la sorte dell'infelice fornaretto è ormai segnata.
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